L’Accademia Internazionale di Significazione Poesia e Arte Contemporanea, in convenzione formativa con l’Università degli Studi di Roma Tre, accreditata dalla Regione Lazio, iscritta all’albo di Roma Capitale e del Comune di Canale Monterano, presidente fondatrice la prof.ssa Fulvia Minetti, vicepresidente il dott. Renato Rocchi, direttore artistico Antonino Bumbica, inaugura la mostra di Gennaro Ceglia alla Galleria Accademica d’Arte Contemporanea della Città d’Arte Canale Monterano di Roma in Corso della Repubblica n.50 il 5 marzo 2022 alle ore 18.00, aperta al pubblico fino al 19 marzo 2022 ore 16-18 con ingresso gratuito.
Gennaro Ceglia nasce a Nocera inferiore di Salerno nel 1974, di professione ingegnere è un artista poliedrico. Come scrittore ha pubblicato le raccolte di poesie “Una goccia di sangue” e “Exsistenz Minimum” e le sue opere sono raccolte in diverse antologie. È stato chitarrista di gruppi rock e come musicista ha accompagnato le opere teatrali dedicate a Pasolini, De André, Battisti e ha lavorato con la Compagnia teatrale salernitana “I Pappici”. Si esprime dal 2015 con un linguaggio pittorico fisico ed emozionale, declinando la figura cosciente per l’intensità emotiva inconscia, ove il luogo umano e relazionale è restituito su tela con forti pigmenti, immerso tra la vita e la morte, trasudando ineguagliabili pulsioni interiori. Espone a Milano, a Firenze a Napoli, a Tuscania, è in mostra personale “Percezioni nascoste” al castello Ducale di Bisaccia, si classifica a “La Bauta d’oro”, mostra di carnevale del 2019 a Venezia e riceve il Riconoscimento al Merito Speciale della Giuria al Premio Accademico Internazionale di Poesia e Arte Contemporanea Apollo dionisiaco nel 2019 con mostra presso il Castello della Castelluccia a Roma, diploma, critica in semiotica estetica all’opera artistica e pubblicazione permanente nella Mostra Accademica dell’Arte Contemporanea online.
“Di terra e di fuoco la pittorica del Ceglia cerca la sinestesia tattile dei corpi, come precipitati materici di un’essenza ignea istintuale. La presa fisica sensoriale tuttavia non esaurisce l’oggetto, che declina il raggiungimento nel rimando di un desiderio impossibile da soddisfare. Il gioco umano della presenza diretta implica sempre un’assenza costitutiva e l’artista soffre l’ineluttabile perdita dell’inconscia relazione originaria all’indistinzione, che sempre precede la scissione delle cose e la nascita della coscienza.
La viva presenza materica della figurazione sostanziale del Ceglia concentra nella donna il suo pensiero unitario di universo, tutto in un punto, nel luogo originario in cui tutte le distanze sono nulle. È terra primaria da cui sbocca lo scorrere sorgente di vita, l’istante primo e sempiterno di singolarità raccolta da cui cade il tempo, la buia somma fertile dei colori opposti e complementari da cui la luce solleva: è l’inconscio folle e ineffabile che in sé contiene, in unico abbraccio, ogni possibile via di sviluppo della coscienza.
L’artista affronta con coraggio la titanica divisione originaria della vita fra esseri mancanti, un femminile in Eros, un maschile in Thanatos. Finanche Aristotele diceva che “vivono insieme gli esseri che non possono sussistere separati”: è così solo che la finitudine si inscrive nel divenire dell’eternità della vita, nella dialettica di opposti, al sogno di deità dell’uomo, al superamento della morte, nella sintesi all’unità.
L’unione è intimamente legata alla separazione, come la felicità al dolore, l’inconscio alla coscienza, la vita alla morte, l’amore alla conoscenza. L’Eros è la forza generatrice del mondo, Thanatos è un passaggio necessario dell’eterno ciclo naturale, uno stato di liberazione e di metamorfosi, che pone nuovamente in relazione al senso e all’infinito. Thanatos è fratello di Hypnos il sonno e di Oneiros il sogno e rappresentano la profondità abissale del logos formale. Queste immagini archetipiche parlano dell’uomo all’uomo, trovando universalità di senso al di là di ogni distinzione culturale.
Il desiderio umano di conoscenza nella sublimazione rappresentativa della pulsione erotica porta in seno la condizione mortifera della stasi nella forma di sapere, nella morsa pregiudiziale dell’articolazione cosciente, nella prigionia del ruolo sociale, nell’abitudine all’apparenza identitaria. L’artista sommuove il soggiacere igneo della libertà, la via per la rottura dell’identità e per l’apertura alla differenza: la via dionisiaca d’uscita dalla definizione del nome, per riattingere alla matrice vitale dell’anonimia plurale, a fondamento del sempre nuovo possibile di sé. Questa dinamica esistenziale affida l’individuo all’eterno ritorno della rinascita unitaria dal declino disgregante e isolato della forma cosciente, alla dimensione ulteriore dell’alterità e della differenza inconscia.
La libido è la pulsione di vita, la destrudo è la pulsione di morte e sono due soglie di catarsi dell’uomo: il congiungimento erotico riconduce alla memoria immemoriale dell’unità originaria che precede la nascita e la disgregazione è il ritorno all’inorganico, l’abbandono all’indistinzione al tutto, la nigredo di risolvimento all’indifferenziazione cosmica. Le soglie estatiche di eros e di thanatos sono tuttavia un medesimo luogo nella visione di un tempo circolare, un tempo che sposa essere ed ente, al di là del bene e del male, un chronos lineare che trova la curvatura del suo kairos per l’attimo di metanoia del tempo aionico, un tempo di senso proprio, per la trasfigurazione unitaria di forza inconscia e di forma cosciente.
La forma del Ceglia è liminale. È lignea finitudine, ma il corpo non è statico, trova un passaggio attivo, una transizione ignea, uno slancio fremente, come tizzone giace all’ardenza purificante della trasfigurazione spirituale all’infinità, che è possibile solo se duale, alla ritrovata pienezza di una lacerante mancanza ad essere.
La caducità delle carni del Ceglia sembra rinascere dalle viscere vesuviane a ricongiungere i segreti alchemici della coesistenza degli opposti di bene e di male, in sembianti imperfetti e per questo latori dei sussulti di una verità diretta, che esorcizzano la morte come una ferma coscienza della vita.” (Critico d’arte prof.ssa Fulvia Minetti)
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