DA CRISALIDE A RIBELLE. Alla Galleria Palazzo Nicolaci di Noto una collettiva tutta al femminileile

“DA CRISALIDE A RIBELLE”, questo il nome della mostra iniziata il 19 marzo e che doveva concludersi il 25 aprile, ma, visto l’enorme successo che sta già ottenendo, si è deciso di prorogarla al 22 maggio, quindi la domenica successiva all’Infiorata, importante appuntamento proposto ogni anno nella città siciliana.

A ospitare la collettiva è la Galleria Palazzo Nicolaci, disposta nell’attico dell’omonimo palazzo di Noto. Si tratta di una rassegna tutta al femminile curata da Paoletta Ruffino, curatrice e presidente dell’associazione culturale Altera Domus, promotrice dell’iniziativa, e Carlo Tozzi, founder e art promoter di St-Art Amsterdam, un incubatore internazionale di talenti artistici che sostiene e promuove nel mondo con spirito mecenatistico. L’esposizione, patrocinata dal Comune di Noto e realizzata con il contributo degli sponsor, vede la partecipazione di 20 artiste italiane e 2 iraniane.

Tra le proposte, spiccano i nomi di: Elisa Anfuso, Silvia Berton, Erica Campanella, Ilaria Caputo, Alessandra Carloni, Anna Caruso, Antonella Cinelli, Giulia D’Anna Lupo, Elisa Filomena, Maria Gagliardi, Debora Garritani, Jara Marzulli, Cali la Rebelle, Angela Regina, Alessandra Rovelli, Grazia Salierno, Roberta Serenari, Milena Sgambato, Tina Sgrò, Ladan Tofighi, Samantha Torrisi, Nooshin Zokaie.

Sin dal titolo, la mostra introduce lo spettatore nei luoghi della trasmutazione, nel mistero della metamorfosi umana, della rinascita, attraverso la metafora della crisalide che da larva si trasforma in farfalla per arrivare a volare liberamente e sperimentare il senso dell’arte come intensità e forma di vita. La forza creativa che emerge dalle 80 opere in mostra, tra cui pitture, fotografie, disegni e acquarelli, includendo diversi lavori inediti, s’impone sulle tenebre di questo nostro tempo, segnato da guerre e pandemie, e fa sognare il pubblico rigenerando un sopito sentimento di bellezza che lo riconcilia con il reale che ha dinanzi. La rassegna ibrida suggestioni culturali occidentali e orientali, intrise, come le opere di Ladan Tofighi, di un sottile “humour noir” teso a spingere l’osservatore ad una riflessione sulla condizione femminile attraverso un’accesa, caricaturale e ironica narrazione grafica, di vaga memoria dadaista.

Come crisalidi avvolte nelle bende, simili a mummie che si dimenano per uscire dal bozzolo e diventare farfalle, si presentano, di contro, le metafisiche immagini, ammantate di mistero, della “Città e della Bellezza coperta” di Nooshin Zokaie che attinge all’inconscio creando un’arte impegnata, mirante a ricostruire la coscienza e la società umana, mettendo sulla tela quel che gli occhi non possono vedere. Il tema del labirinto, ripreso da vari artisti in diverse epoche, nella narrativa di Ilaria Caputo è portatore della metafora del viaggio interiore che l’artista compie dentro se stessa alla ricerca del proprio destino; una prova iniziatica che sembra materializzarsi nella serie degli autoritratti pervasi da una luce aurea che ricolma le figure di un sottile erotismo.

Conturbanti e oniriche si mostrano allo spettatore le protagoniste di Jara Marzulli, trasmutate dall’essere crisalide in un sé superiore che va oltre l’apparente erotismo e una banale provocazione.

Antonella Cinelli consacra alla donna la sua produzione pittorica, raffigurando la femminilità nella sua essenza immutabile. Le sue giovani protagoniste, belle e sensuali, avvolte in una calda luce dorata, sono Veneri contemporanee che sprigionano una vitalità sexy e ridestano nello spettatore passioni quiescenti.

Il corpo delle sante disvelate di Giulia D’Anna Lupo diventa metafora dell’autocoscienza e del partire da sé per raccontarsi. Le protagoniste di Giulia sono sante, in senso figurato, di questo nostro tempo, che rivendicano rispetto e “devozione” per il loro essere diversamente donna, e la libertà di mostrare il proprio corpo inteso non come canone estetico idealizzato e sessualizzato, ma come autoaccettazione.

L’artista Alessandra Rovelli mostra, dal 2016, una felice ispirazione nella pittura di paesaggi a cui attribuisce un significato simbolico: “la strada diventa il percorso di vita, i lampioni o gli alberi possono essere persone”. La memoria, per Alessandra Rovelli, è un’arte concettuale da salvaguardare, custodire, arricchire, attraverso un approccio creativo che si presti alla condivisione e narrazione collettiva. I suoi “Life-Box” sono scatole di cartone rivestite di tela in cui “il colore è dato a pennellate piene, corpose, molto compatte e ne risulta una materia pittorica ruvida che vuole dare una visione animistica della natura”. Incuriosiscono lo spettatore a scoprire ciò che contengono, a penetrare il significato e il contenuto dell’opera attraverso un foglio di carta con delle frasi che fanno riflettere.

Anche l’artista Anna Caruso, nei suoi “Framing Effect”, promuove una pittura simbolista basata sulla memoria e caratterizzata da sottili straniamenti. “Che memoria hanno le meduse?” È il titolo dell’opera che ne contiene la personale poetica.

Elisa Filomena incentra la sua ricerca sulla rivendicazione della figura del dandy in chiave

femminile, ergendosi a paladina della libertà dell’essere contro la più bigotta morale universale. I suoi raffinatissimi ritratti di donne “dandy” ostentano una bellezza ricercata e compiaciuta, che non è effimera “Vanitas”, ma pittura vibrante.

Introspettiva e intimistica, impregnata di poesia è la pittura di Samantha Torrisi volta ad esprimere il personale interesse per la natura, liricamente interpretata, superando l’aspetto

realistico, attraverso un ricercato cromatismo che per l’effetto sfocato, quasi di foschia, in cui le forme perdono consistenza e si dissolvono in toni atmosferici e luministici, ricorda molto Turner.

Tina Sgrò mira a rendere nei suoi metafisici scorci urbani di una Milano sognata da piccola, una sintesi di tempo, luogo, colore e tono, conferendo alla composizione un aspetto di dinamismo, di eco futurista, in antitesi con l’aspetto statico dei suoi interni di ambiente borghese, stanze dell’anima, trasfigurati in termini poetici attraverso mirabili effetti di luce riflessa.

Citazioni metafisiche, di gusto saviniano, troviamo anche nelle grandi composizioni della street artist Alessandra Carloni le cui opere sono chiavi d’accesso alla sua interiorità e spiritualità. Dai suoi lavori emerge un mondo visionario attraversato da città volanti e da animali meccanici, popolato da giovani protagonisti che si stagliano contro ampie scenografie prospettiche e deserte, a volte persino inquietanti per la presenza di elementi stranianti che conducono lo spettatore in un viaggio, come metafora della vita, non fisico ma mentale.

Identità femminile e giochi dell’eros nello sguardo di due grandi fotografe: Elisa Campanella e Angela Regina comunicano allo spettatore, attraverso una serie di scatti in bianco e nero e piccole foto vintage polaroid, che il compiacimento per la descrizione del corpo femminile non cerca motivazioni al fatto in sé, ma il senso di una ricerca artistica.

Attratta dalle potenzialità espressive del medium fotografico, l’artista Debora Garritani affida ad un oggetto: una macchina da cucire, la sua poetica essenzialmente concettuale, ponendo una profonda riflessione sull’attesa, intesa come valore del tempo vissuto. “Per ora non ancora” è il titolo dei due lavori in mostra che pongono l’accento sull’urgenza di ricucire il tempo e ripararne gli strappi.

Sul recupero della memoria storica Maria Gagliardi orienta la sua ricerca incorniciando vecchie foto di indossatrici degli anni 50 identificative di un’era indimenticabile, e di cui oggi, più che mai, si avverte la mancanza. Una singolare quanto memorabile foto gallery fa vibrare le corde dell’anima dello spettatore catapultandolo nella moda di quegli anni che conosce un’autentica

rinascita con un look “bon ton” che esalta la femminilità, l’eleganza e la raffinatezza, e che diventa un messaggio anche per le nuove generazioni.

In chiave psicologica si sviluppa la ricerca di Silvia Berton in mostra con una serie di inediti ritratti di top model dei nostri giorni, condotti con viva intensità ritrattistica e penetrante efficacia espressiva. Adombrate e solitarie, graffiate dalla vita, ma dallo sguardo dardeggiante che nasconde un messaggio di rivolta verso i soliti cliché, si stagliano su un fondo scuro e uniforme che rende più plastiche le forme del corpo e le esalta.

“Credo che il colore sia ad oggi uno dei più grandi gesti di coraggio. Mi distaccai dal figurativo

qualche anno fa. Mi sentivo compressa. Ecco perché lavoro su grandi formati, per creare un

palcoscenico in cui il fruitore si senta scosso”. È così che Calì la Rebelle spiega allo spettatore

la sua urgenza di libertà espressiva non influenzata da contingenze estetiche e basata su un

astrattismo privo di intenzionalità figurativa che esalta l’espressione artistica come frutto della casualità, della spontaneità, dell’inconscio e della continua sperimentazione.

Nelle opere di Roberta Serenari dominano scenografie complesse contro cui si stagliano enigmatiche figure femminili, personaggi di un mondo onirico, di chiara ascendenza dechirichiana, che stimolano a riflettere e ad interrogarci sulla fugacità del tempo, sul piacere dell’attesa, e sulla paura del cambiamento.

Solitarie ed evanescenti vagano nella tela le giovani donne di Milena Sgambato, tratteggiate

come macchie di colore e luci che ricordano una tavolozza impressionista. Pur nel loro abbozzo sommario e nella disarmante semplicità compositiva, l’artista è riuscita a raggiungere un perfetto accordo fra rappresentazione realistica ed evocazione sentimentale.

Elisa Anfuso si lascia sedurre dalla poetica surrealista di Renè Magritte realizzando composizioni dall’atmosfera misteriosa e onirica mediante inconsueti accostamenti di elementi fortemente simbolici che innescano nell’osservatore un senso di straniamento. Se per Magritte la Memoria è la testa di una statua con la tempia insanguinata, metafora dell’immortalità dell’arte che diventa testimone dello scorrere del tempo, della vita e della morte, allo stesso modo una serie numerata di ritratti di giovani donne fiorite, con corna da cervo, occhi bendati e sanguinanti, rappresentano una chiara metafora della Metamorfosi ovidiana: “Tempux edax rerum” fonte d’ispirazione per l’artista per i tre soggetti in mostra “Del tempo che divora le cose”, personificazioni del tempo che consuma e trasforma ogni cosa, indipendentemente dalle vicende umane, perché nulla resta in eterno.