Il tragico e la bellezza. In dialogo con la letteratura russa è il nuovo saggio di Pierfranco Bruni, pubblicato da Edizioni Solfanelli nella collana Athenaeum.
L’editing del testo, l’articolazione dei capitoli e la prefazione sono da attribuirsi a Rosaria Scialpi, la trascrizione di alcune conferenze che compongono il testo è invece di Stefania Romito.
Questo saggio, ulteriore prova della capacità di Bruni di destreggiarsi nel confronto e nell’assimilazione delle letterature internazionali, assume un andamento narrativo e ripercorre la storia della letteratura russa trascendendo dal più tradizionale asse diacronico per inserirsi invece nel solco dell’esperienza del lettore e dello scrittore.
Un viaggio, dunque, che assume forma circolare, in cui vita e letteratura si fondono, <<Letteratura con la vita. Vita nella letteratura. Letteratura nella vita>>.
Un viaggio nella letteratura russa che si snoda attraverso 152 pagine e che analizza il suo realismo nell’inquieto esistere, quell’inquietudine che travolge tra la storia e la contemplazione, la Russia della felicità plurinfelice da Evtushenko a Tolstoj, tra la luce e la tragica notte.
Il tragico e la bellezza è un dialogo in cui Bruni si pone in ascolto degli scrittori russi, fa tesoro delle loro parole e restituisce il suo pensiero, fondatosi con e attraverso essi.
L’incontrarsi dello scrittore con quella letteratura che costituisce in parte lo scheletro del suo pensiero letterario, della sua poetica, fa scaturire considerazioni comparatistiche e filosofiche in un luogo dell’atto che è tutto interiore.
Pertanto, questo libro è uno scavare nel profondo, con tutte le conseguenze che ciò comporta, fra le intercapedini dell’uomo-lettore e dell’uomo scrittore, mentre Bruni si domanda – e sembra chiedere al lettore – quanta vita ci sia nell’arte e quanto questa riesca a trapassare le pagine transumanandosi, incarnandosi in vita.
Una mosaicizzazione che trova in Dostoevskij, di cui Bruni ha già parlato in Il sottosuolo dei demoni (Solfanelli, 2021), il suo punto di partenza e il suo acme, senza però tralasciare la storia che si intreccia con gli scritti e gli scrittori russi, dall’impero zarista ai gulag fino alla società post-sovietica, richiamando il lettore a leggere attraverso un imprescindibile approccio interdisciplinare, calando così lo scrittore nel proprio tempo e prescindendo da logiche opportunistiche e destoricizzanti.
Ma, se Dostoevskij è partenza e approdo, con quali altri scrittori e con quali altre scrittrici dialoga l’autore?
Ebbene, la selezione dei letterati, da Rozanov a Dostoevskij, da Turgenev ad Achmatova, restituisce un chiaro e vivido affresco non solo delle personali influenze di Bruni, ma del rapporto che intercorre proprio fra i vari scrittori analizzati, fra loro e la letteratura mondiale (si veda, ad esempio, la relazione dei russi Mandel’štam, Gogol, Cechov, Tolstoj, Dostoevskij con l’italiano Dante Alighieri, o quella fra lo Zarathustra nietzschiano e Razonov), fra orienti mediterranei e orienti slavi, fra poesia e prosa, a loro volta osservate attraverso la loro collocazione spaziale, oltre che esperienziale, fra realtà interne e quelle marittime del mondo russo. Proprio tal proposito nel libro si legge:
<<La poesia russa ha come punto di riferimento la terra. C’è questa diversità anche nella parola che insiste tra acqua e terra. Il vivere la parola all’interno dell’acqua. Il vivere la parola all’interno della terra. Non è un gioco dell’inverosimile ma piuttosto uno scavare in un luogo che diventa metaforizzabile e metaforizzato all’interno del contesto linguistico letterario sentimentale>>.
Quello di Bruni è allora non solo un tragitto intrapreso verso un’ulteriore conoscenza di sé mediante il confronto con gli scrittori che hanno condizionato e ancora condizionano il suo ‘io’ e la sua scrittura, ma anche fra quegli stessi scrittori, fra le culture che si incontrano e dialogano, fra verità personali del <<vivere senza menzogna>>, verità dell’inaccessibile sottosuolo dostoevskiano e verità metafisiche a cui è difficile, se non impossibile, dare risposta definitiva.
Al di là di ogni granitica certezza dai contorni immutabili, c’è l’imperscrutabile umano e trascendente a cui si può accedere solo domandando e misurandosi, tenendo a mente la lezione di J. Donne <<Mi sminuisce la morte di qualsiasi essere umano / io sono parte dell’umanità>>, a sua volta calco della celebre frase di Publio Terenzio Afro <<Homo sum, humani nihil alieni a me puto[1]>>.
[1] Traduzione: Sono uomo, nulla di ciò che è umano avverto a me estraneo
Rosaria Scialpi