Come raggiungere le zero emissioni nel settore marittimo? Lo mostra il documento di orientamento strategico realizzato da Eni e a cui hanno preso parte le Associazioni degli Armatori, tre delle più grandi aziende produttrici di motori navali, Unem, Federchimica/Assogasliquidi, Assocostieri e RINA
Per immaginare una strategia realistica, efficiente e sostenibile di decarbonizzazione del trasporto marittimo non basta fissare il punto d’arrivo. E’ necessario mettere a sistema le competenze di tutti gli stakeholder per disegnare il percorso tappa dopo tappa. E’ quello che ha fatto Eni lo scorso 11 luglio a Roma portando allo stesso tavolo armatori, aziende produttrici di motori navali, certificatori, rappresentanti della logistica energetica, associazioni di settore e Amministrazione Pubblica. L’appuntamento è stato l’occasione per presentare la roadmap per la decarbonizzazione del settore marino, frutto del lavoro multidisciplinare di oltre 40 esperti del comparto. Tre intensi mesi di lavoro che sono serviti a disegnare la rotta verso le zero emissioni, analizzando il contesto normativo, il mercato navale, l’evoluzione tecnologica dei motori e la disponibilità, anche in termini infrastrutturale, di vettori energetici a ridotta intensità carbonica.
Il risultato è un lavoro multidimensionale e multidisciplinare, necessario all’industria ma anche a chi nella pratica dovrà definire le norme e i regolamenti. Lo studio ha preso in considerazione la flotta navale attuale e futura, le tecnologie propulsive, i vettori energetici disponibili, il loro prezzo e le loro prestazioni, ma anche le relative esigenze infrastrutturali e il costo delle emissioni.
Sulla carta le opzioni sono molteplici. Come ricordato dagli autori dell’analisi, oggi esiste una lunga lista di prodotti con interessanti potenzialità ai fini della decarbonizzazione del settore marittimo. Dai biocarburanti come l’HVO e il FAME alle versioni bio del GPL e del GNL, dall’ammoniaca al metanolo, dai carburanti sintetici (e-fuel) all’idrogeno. Ma non tutti potranno giocare un ruolo rilevante da subito, sia per una questione prettamente di maturità tecnologica che per via del necessario sviluppo infrastrutturale e di filiera. La transizione energetica marittima per dimensioni e caratteristiche avrà bisogno di evolversi strada facendo per tenere assieme sostenibilità, competitività e sicurezza.
Nel breve termine (2030-2035) l’opzione più verde, accessibile, economica e flessibile è rappresentata dai biocarburanti liquidi e gassosi già presenti sul mercato, e in particolare l’HVO, acronimo di Hydrotreated Vegetable Oil. I suoi punti di forza? E’ ottenuto dalla lavorazione di lipidi di scarto rinnovabili, può essere utilizzato già oggi nei motori in miscela al 50% con carburanti tradizionali senza modifiche tecnologiche, ma si presta anche all’uso in purezza nei nuovi motori. Ma soprattutto permette di raggiungere riduzioni nelle emissioni di CO2eq tali da rispettare gli obblighi normativi immediati così come quelli a medio e lungo termine. A titolo di confronto il suo impiego permette di abbattere tra il 60 e il 90% delle emissioni di carbonio (in funzione della tipologia di carica biogenica) rispetto al carburante tradizionale sull’intero ciclo di vita. E a differenza di vettori energetici come l’ammoniaca o l’idrogeno, non richiede modifiche infrastrutturali o logistiche.
Discorso non troppo dissimile per il biocarburante FAME, prodotto attraverso la transesterificazione di oli vegetali. Quest’ultimo, tuttavia, a fronte di una decisa economicità offre però prestazioni più scadenti in quanto si tratta di un prodotto meno stabilizzato, che richiede particolari operazioni di movimentazione all’interno delle navi.
Sempre sul breve termine un ruolo potenziale lo ha anche il GNL. In questo caso le sfide si focalizzano più che altro sulla domanda, le infrastrutture e ovviamente le emissioni, sebbene più basse di quelle carburanti navali tradizionali. E in futuro sistemi di cattura della CO2 a bordo delle navi potrebbero dare un’ulteriore mano. Il bio GNL alleggerirebbe sicuramente l’impronta di carbonio ma andrebbe incrementata l’offerta e abbassati i costi.
Lo studio annovera tra le opzioni per il medio termine il metanolo – interessante soprattutto se prodotto da rifiuti – ma oggi ancora troppo costoso ed energeticamente impegnativo.
Sono considerate opzioni per il lungo periodo invece l’ammoniaca e l’idrogeno ma con tutte le sfide del caso: dall’abbattimento dei costi tecnologici a questioni prettamente ambientali e di sicurezza. Su tempi lunghi si muovono anche gli e-fuels, per i quali tuttavia si prevede invece uno sviluppo per lo più legato al trasporto terrestre, che lascerà ben poco spazio alle imbarcazioni.
Dall’analisi, dunque, l’HVO emerge come il vettore favorito. Un risultato che non sorprende dal momento che l’olio vegetale idrogenato rappresenta una soluzione già rodata e disponibile. Un prodotto in grado di accelerare la transizione energetica marittima senza dover aspettare nuovi motori o infrastrutture. In questo campo Eni ha da tempo costruito un solido know-how. La società produce già il biocombustibile nelle sue bioraffinerie di Venezia e Gela attraverso la tecnologia proprietaria Ecofining™ e ha da poco siglato un accordo con RINA per svilupparne assieme l’impegno nel trasporto navale. Un’intesa di ampio respiro che guarda all’immediato ma anche al futuro. L’accordo prevede infatti di sviluppare altri vettori energetici sostenibili, come ad esempio l’idrogeno e l’ammoniaca nella versione verde o blu. E la realizzazione di iniziative che coinvolgano la loro intera catena logistica così come l’adozione di metodologie certificate per il computo “tassonometrico” dei benefici emissivi lungo tutta la value chain.