A parlare Salvatore Architravo che ci racconta Eugenio Pragliola detto: “Eugenio ‘cu e llent”

Salvatore Architravo, il tuo nome e cognome per gli addetti ai lavori di questo ambito e per il pubblico, non risulta affatto sconosciuto.
Sei sempre alla ricerca del sapere e nutri la tua fame di conoscenza riguardo i personaggi storici della nostra bella e amata Napoli.
So, che hai creato un qualcosa su Eugenio Pragliola detto: “Eugenio ‘cu e llent?”
Chi era questo personaggio e cosa hai creato?

Innanzitutto ho dei ringraziamenti da fare. Ringrazio Antonio Pragliola, figlio di Cucciariello (come era conosciuto Eugenio Pragliola nella sua Giugliano), mio zio Franco Moreno per avermi dato la possibilità di conoscerlo, Ernesto Pragliola (pronipote di Eugenio) che, anni fa, mi fece incuriosire, e nonno Mario Trevi per avermi donato, più di dieci anni fa, la bombetta e la fisarmonica che, a suo tempo, acquistò dai figli alla morte di Eugenio Pragliola. Girando per la provincia ho sempre trovato testimonianze positive di persone che conservano un ricordo di Eugenio cu ‘e llente, ma opere su questo personaggio (eccetto la bibliografia che ho riportato in questo breve docufilm ed una commedia dedicata alla sua vita) sono veramente poche. Mi sono permesso, quindi, raccogliendo la testimonianza del figlio Antonio, e da residente giuglianese, di dedicare un lavoro a questo personaggio che tanto è stato amato dal pubblico e da Artisti ma allo stesso tempo è poco ricordato esplicitamente, anche quando si canta il repertorio da lui scritto, saggiamente valorizzato dal M° Roberto De Simone. Per esempio, di Pragliola sono ” ‘e signurine ‘e Capodichino che fann’ ammore cu ‘e marrucchine” nelle strofe aggiunte nel 1974 alla già famosa Tammurriata nera, scritta da Edoardo Nicolardi ed E.A.Mario nel 1944 e cantata per la prima volta da Vera Nandi.
Queste strofe ormai, grazie alla Nuova Compagnia di Canto Popolare, sono parte solida della canzone.
Ma queste strofe sono del mai citato Eugenio Pragliola.

Parliamo un po’ di Eugenio
Diciamo che, Eugenio, era un personaggio di provincia, ma, che scendeva anche in città? Quindi, sei incuriosito dai personaggi, tanto che, hai voluto dare un qualcosa nella loro diversificazione alla città di Napoli.

Pragliola era, e riesce ancora ad essere attraverso i suoi testi e le sue filastrocche, un rappresentate importante di Giugliano in Campania ma anche della Provincia di Napoli, fino ad arrivare al capoluogo campano. Per mezzo secolo ha portato la sua arte anarchica ed estemporanea in giro. I suoi teatri furono i tram e pullman che, da Giugliano, giravano per la Provincia ed arrivavano a Napoli. In questi viaggi ha incontrato la stima e l’ammirazione di personaggi come TotòRaffaele Viviani, Eduardo, Roberto De Simone. A quanto pare poche furono le volte in Teatro. Tra queste, ricordato dal figlio Antonio, vi su l’esibizione al Teatro Instabile di Napoli, dove fu scritturato da Arnoldo Foà per interpretare se stesso: Eugenio cu ‘e llente. Molti lo volevano nella loro compagnia, ma Cucciariello era un animo libero e preferì la vita da artista girovago, scrivendo su carta le strofette che la fantasia gli faceva nascere sul momento. Purtroppo questo ha portato ad una dispersione del repertorio. Le ultime fonti sono le testimonianze del pubblico e degli ultimi discendenti di famiglia. Il figlio Antonio mi ha rilasciato una video intervista e, da figlio d’arte, gli ho chiesto di esibirsi, accompagnato alla chitarra da Nando Filo, in una quindicina di canzoni, poesie e parodie scritte dal padre (che verranno pubblicate singolarmente sul mio omonimo canale di YouTube)

Qual’è il messaggio che vuoi far arrivare, attraverso le tue opere, appunto dedicate a questi personaggi?

I miei piccoli lavori (“opere” credo sia troppo) nascono da una voglia personale di raccontare, sopratutto quello che poco è ricordato. Artisti e fatti che hanno caratterizzato la Storia, la Cultura, il Linguaggio napoletano del secolo scorso. Di una Napoli che, pur non ricordata come merita, ha tracciato il solco per il mondo su cui molti personaggi successivamente si sono avviati ed hanno avuto fortuna e successo. Di una Napoli che raccontava la quotidianità attraverso canzoni e poesie, prima di essere (consentitemi) stremata, ghettizzata ed abbandonata alla parodia di cartolina in cui oggi versa, risultato di un popolo troppo orgoglioso e poco informato, ed una borghesia esterofila e lontana dalla realtà che la circonda.
Una Napoli “unita”, che cammina uniformemente. Gambe e Mente, Fame e Pensiero. La Napoli che mi piace raccontare (anche se già era abbastanza denigrata fuori dai confini regionali dai media italiani) è quella che si ferma al 1965, prima di questo taglio netto. Non è sentimento nostalgico, non amo vivere nel passato, ma è una testimonianza per dire “siamo stati così, possiamo ritornare ad esserlo”, con custodia di memoria, senso civile e preservazione di dignità, senza arrivare a “prostituire il proprio essere” ed apparire come “giullari di corte”. No, Napoli ha tanto da raccontare perché ha fatto tanto. Eugenio Pragliola è nato nel 1907 ed è morto il 22 giugno del 1989, quindi è un testimone di un secolo di cambiamenti e, a trentacinque anni dalla scomparsa, può esserlo ancora per creare qualcosa di nuovo che prolunga la tradizione e, nello stesso tempo, può preservare quelle che, secondo me, sono ricchezze principali di un popolo: memoria ed identità.

Giuseppe Nappa