Oltre al drammatico impatto sotto il profilo umanitario, uno degli effetti della guerra in Ucraina è la forte tensione che si è provocata sui prezzi delle commodities agricole. L’ho sottolineato il recente World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale.
La corsa dei prezzi delle commodities agricole
L’invasione della Russia ha provocato uno shock sulle forniture di alcuni prodotti agricoli, in special modo il mais e il grano. Il motivo è semplice: Russia e Ucraina rappresentano quasi il 30% dell’export mondiale di grano, e una grossa fetta anche del mercato del mais. Era naturale che i prezzi delle commodities finissero per aumentare.
Quello che è preoccupante è che gli effetti non saranno solo temporanei bensì durevoli. Il Fondo Monetario Internazionale precisa che i prezzi delle commodities agricole rimarranno in media superiori del 7,5% rispetto al 2021. Rispetto ai prezzi del 2019, ossia prima dello scoppio della pandemia, il rincaro medio sfiorerà il 40%. Il Williams percent range (%R indicatore) ha viaggiato impazzito.
Un fattore critico per l’intera economia globale
La corsa dei prezzi delle commodities agricole rappresenta una criticità per l’intera economia globale. Subito dopo quella dell’energia, è la componente più rilevante del vertiginoso aumento dell’inflazione al quale stiamo assistendo. Questa corsa dei prezzi sta costringendo le banche centrali mondiali ad inasprire la politica monetaria, per evitare che l’inflazione si radichi nell’economia.
Come si può vedere sui Consob broker autorizzati, tutto ciò sta già avendo ripercussioni sui mercati valutari e azionari.
La situazione dell’Italia
L’aumento dei prezzi delle commodities agricole ha provocato una crescita dei prezzi alla produzione dei prodotti alimentari.
Tuttavia in Italia questa crescita è leggermente meno intensa rispetto all’intera Eurozona, malgrado la maggior crescita dei prezzi per l’energia. Significa che le nostre imprese trasferiscono sui listini di vendita una quota minore di tali rincari. Ma la situazione rimane ugualmente grave, perché circa 50mila imprese di piccole e micro dimensioni sono attive in questo settore. E sono esposte al rischio di chiusura.