Frenano le richieste di credito da parte delle imprese nel I semestre (-7,2%)

Aumentano i timori per il rischio climatico al quale le imprese sono esposte, che potrebbe renderle meno appetibili nella relazione con gli istituti di credito.

I fattori di incertezza emersi negli ultimi mesi non hanno ancora determinato tensioni sul fronte della liquidità.


Bologna, 27 luglio 2022 – Dopo un 2021 caratterizzato dalla ripresa dell’economia nazionale post pandemia, nel I semestre dell’anno il numero di richieste di credito presentate dalle imprese italiane ha fatto segnare una flessione del -7,2%.

La dinamica in atto va letta come il segnale di una necessità meno impellente rispetto al passato di rivolgersi agli Istituti di credito per far fronte alla contrazione dei fatturati e dei flussi di cassa che si erano registrati nella fase più acuta della pandemia, quando le aziende erano state indotte a richiedere un grande numero di finanziamenti anche per importi contenuti.

La frenata in atto riguarda sia le Società di capitali, che hanno fatto registrare un -4,2% rispetto al I semestre 2021, sia le Imprese individuali, per le quali la flessione è stata più consistente, pari a -12,8%.

Al contempo, l’importo medio richiesto è cresciuto del +13,6%, attestandosi a 120.227 euro, con un’accelerazione significativa nel secondo trimestre dell’anno (+26,8%) rispetto al pari periodo del 2021.

Queste le principali salienze che emergono dall’ultimo aggiornamento del Barometro CRIF nel quale vengono analizzate in modo puntuale le istruttorie di finanziamento registrate in EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF.

Andamento delle richieste di credito da parte delle imprese italiane

Fonte: EURISC – Il Sistema di Informazioni Creditizie di CRIF

“La concatenazione degli eventi negativi che hanno caratterizzato questi ultimi tempi ha prodotto impatti estremamente significativi sulle attività produttive nel nostro Paese, e non solo. In particolare, in una fase in cui l’economia nazionale stava faticosamente cercando di riportarsi sui livelli pre-pandemia, lo scoppio del conflitto in Ucraina, l’impennata dei costi delle materie prime e dell’energia e il rialzo dei tassi sono destinati a produrre un nuovo shock sulle nostre imprese. Questo, però, non si è ancora riflesso sulla domanda di credito, con le imprese che non hanno ancora sentito la necessità di aumentare in modo consistente la provvista di liquidità per far fronte all’attività corrente. Al contrario, nel I semestre dell’anno il volume di richieste è complessivamente diminuito, accentuando la tendenza a non frazionare eccessivamente i finanziamenti rivolgendosi primariamente a pochi istituti di credito di riferimento per finanziamenti di importo più elevato rispetto al passato” – commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF.

Cresce l’importo medio richiesto

Nello specifico, dall’ultimo aggiornamento del Barometro CRIF emerge una crescita del +13,6% dell’importo medio richiesto nei primi 6 mesi dell’anno in corso, che si attesta a 120.227 Euro. La tendenza risulta ancor più accentuata nel II trimestre, con un eloquente +26,8% sul pari periodo del 2021.

Per quanto riguarda le Imprese individuali, che rappresentano la spina dorsale del tessuto economico e produttivo nazionale, le richieste di credito hanno visto nel I semestre un valore medio pari a 41.479 Euro (+7% rispetto al corrispondente periodo 2021), con la classe di importo al di sotto dei 5.000 Euro che raccoglie il 33,5% del totale delle richieste in virtù del peso preponderante delle realtà di piccola e piccolissima dimensione.

Per quanto riguarda le Società di Capitali, invece, l’importo medio richiesto ammonta a 158.562 Euro, segnando un incremento del +11,8% rispetto alla corrispondente rilevazione dello scorso anno. Nello specifico, il 34,7% delle richieste nel I semestre presenta un importo superiore ai 50.000 Euro.

Estremamente diversificata la dinamica registrata nelle diverse regioni del Paese, determinata da fattori che non sono stati approfonditi nello studio. Relativamente alla variazione del numero delle richieste di credito si passa da una flessione superiore al 10% in Liguria (-13,9%), Campania (-13,0), Sardegna (-12,8%), Sicilia (-11,1%) oltre a Veneto (-10,7%) e Friuli (-10,1%), ad una variazione positiva nelle Marche (+4,6%) e in Trentino Alto Adige (+4,0%).

Per quanto riguarda invece l’importo medio dei finanziamenti richiesti, il valore più elevato si registra in Trentino Alto Adige, con quasi 350.000 Euro, mentre all’estremo opposto della graduatoria si colloca la Sicilia, con 67.732 Euro. Va però sottolineato come il taglio dei finanziamenti dipenda molto sia dalla composizione del tessuto di imprese attive sul territorio, sia dalla tendenza più o meno accentuata a frazionare la provvista di liquidità tra diversi istituti di credito.

Richieste di credito da parte delle imprese italiane: l’andamento per regioni

 

Regione Variazione Numero Richieste

I semestre 2022

Importo Medio

I semestre 2022

ABRUZZO -6,6%  €                      101.515
BASILICATA -6,0%  €                      122.260
CALABRIA -8,1%  €                       82.688
CAMPANIA -13,0%  €                      101.559
EMILIA-ROMAGNA -5,5%  €                       85.862
FRIULI-VENEZIA GIULIA -10,1%  €                       93.841
LAZIO -9,0%  €                      124.187
LIGURIA -13,9%  €                       74.799
LOMBARDIA -0,3%  €                      127.191
MARCHE 4,6%  €                       77.355
MOLISE -0,4%  €                       89.613
PIEMONTE -7,2%  €                       80.777
PUGLIA -6,5%  €                      105.797
SARDEGNA -12,8%  €                       70.915
SICILIA -11,1%  €                       67.732
TOSCANA -9,1%  €                       90.293
TRENTINO-ALTO ADIGE 4,0%  €                      348.748
UMBRIA -4,5%  €                      103.153
VALLE D’AOSTA -8,2%  €                       73.156
VENETO -10,7%  €                      103.187
 TOT. ITALIA -7,2% €                      120.227

Fonte: EURISC – Il Sistema di Informazioni Creditizie di CRIF

L’andamento del credito può risentire dell’esposizione delle imprese al rischio climatico?

In questi ultimi mesi abbiamo dovuto fare i conti con gli effetti del cambiamento climatico, con la crisi idrica che ha posto le imprese di fronte a sfide che, se non affrontate tempestivamente, potrebbero avere impatti altamente negativi.

In questo scenario, un’analisi esclusiva realizzata da CRIF e RED – società specializzata nel settore dei servizi di consulenza per il risk assessment di disastri naturali e connessi al clima – ha valutato un campione rappresentativo delle imprese italiane, considerando tutte le loro sedi locali su un arco previsionale di trent’anni (entro la fine della decade 2040). Nello specifico, sono stati presi in esame 17 pericoli fisici e climatici, suddivisi tra rischi cronici (per esempio stress termico o idrico, erosione del suolo o costiera, ecc.) e acuti (per esempio ondata di calore, incendio boschivo, terremoto, frana, ecc.).

Le proiezioni sviluppate tramite sofisticati modelli climatici hanno evidenziato che gli effetti saranno diversificati sul territorio, con variazioni di rischiosità sia in senso positivo (riduzione del rischio) sia in senso negativo (aumento del rischio).

Dall’analisi CRIF – RED emerge che nei prossimi anni le imprese italiane esposte a perdite economiche causate da fenomeni naturali potranno salire fino al 36% del totale, con rischi acuti da affrontare quali frane, terremoti, ondate di calore, inondazioni, mentre lo stress idrico rimarrà il rischio prevalente tra quelli cronici. Inoltre, se ci limitiamo ai pericoli legati al clima (quindi escludendo i terremoti), la percentuale di imprese esposte sarà intorno al 30%.

Il Sud e le Isole risulteranno le aree potenzialmente più espostecon il 50% delle imprese a rischio alto, a causa della maggiore esposizione ai rischi fisici cronici. Inoltre, considerando sia la localizzazione delle imprese sia la materialità di ciascun pericolo naturale per il settore di appartenenza dell’impresa, nei prossimi anni il settore agricolo risulterà il comparto maggiormente esposto ai rischi fisici, con circa metà delle imprese caratterizzata da una rischiosità significativa rispetto ad una media che si attesta al 35% del totale.

Tuttavia, il rischio può variare tra i settori in funzione della loro localizzazione geografica dovuta alle esigenze produttive, dalla vulnerabilità dei prodotti a specifici elementi naturali, dalla dipendenza alle risorse naturali e infine dalla diversa esposizione all’aumento delle temperature. Ad esempio, per il settore agricolo è maggiore l’esposizione ai rischi legati alla scarsità di risorse idriche, all’impatto dello stress da calore (per via dell’effetto sulla produttività delle attività svolte in ambiente aperto) e ai fenomeni franosi (data la più frequente localizzazione in zone extraurbane).

Il cambiamento climatico è ormai una evidenza nella nostra vita quotidiana anche se purtroppo le imprese spesso non sono pienamente consapevoli dei rischi fisici che ne derivano e a cui sono sempre più esposte. La necessità per le imprese di mettere in atto una serie di azioni di contenimento di questi rischi, a beneficio della transizione verso modelli di business più sostenibili e resilienti, può tradursi in investimenti specifici che possono essere positivamente supportati dai player finanziari non solo con prodotti di credito ma anche con offerte assicurative dedicate” – conclude Capecchi.