Stavolta la scrittrice e regista palermitana Emma Dante c’ha veramente sorpreso in positivo con il suo lavoro inedito allo Stabile di Roma : non più un testo criptico , esoterico e tecnicamente arduo da decifrare e nemmeno in dialetto tipico della città di Santa Rosa, bensì una delicatissima e sentimentale composizione romantica rivissuta nel momento in cui ci si sta per congedare dalla vita con profonda ed amara tristezza, specie se abbiamo già perso il nostro coniuge o compagno dell’”iter “ esistenziale attraversato tra alti e bassi, ma in definitiva con più piacere fisico e spirituale sul piatto della bilancia come consuntivo finale. Lo spettacolo stringato ed essenziale della durata d’un’ora s’è giovato sul piano principalmente del silenzio espressivo con gli atteggiamenti della coppia, la postura mimica del corpo e gli ammiccamenti allusivi del volto a partire dagli occhi di teneri innamorati, che poi s’abbracciano e coccolano il loro pargoletto. Questo lo rivive in prima persona lei la vedova, interpretata da una splendida Manuela Lo Sicco, che da anziana ripiegata su se stessa estrae da un baule diversi oggetti , elementi di poco conto, che tuttavia ogni volta per libero ed involontario associazionismo, meraviglioso flusso joyciano di coscienza, le riportano alla memoria il momento della vita in cui questo s’è situato per lei, come se metaforicamente risfogliassimo un vecchio album antologico di fotografie. Intanto da un altro baule si configura lui che, come in un dolce e parimenti melanconico sogno notturno, indossa un vecchio vestito nuziale e, sorridendole, l’avvinghia con passione, che quando c’è stata veramente non si dimentica ed anzi procura maggior dolore e patimento a ripensarla e noi ne siamo autentici testimoni. Lei lo riconosce come la sua metà ideale di lungo corso e ballano, con la testa di lei sulla spalla di lui che se la stringe con intenso trasporto e la sorregge, accarezza, con struggente amore sublimato, mentre il carillon, suo regalo di fidanzamento, suona le migliori melodie degli anni sessanta : ecco i motivi indimenticabili di Mina” E se domani”, Sergio Endrigo, Little Tony, Rita Pavone “Viva las pappa con il pomodoro”, Bobby Solo, Gianni Morandi “ Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” e “In ginocchio da te” ,Edoardo Vianello “Siamo i Watussi, gli altissimi negri “ e per finire Nilla Pizzi, che vinse il primo Festival di Sanremo, con” Il tango delle capinere” .Del loro ménage di felici coniugi non manca nulla, percorrendo con veloci sketch a ritroso, le fondamentali tappe del lungo ed ardente rapporto con totale donazione reciproca del cuore, a cominciare dai banchi di scuola che l’aveva fatti sinceramente conoscere nella stessa classe: lui faceva l’apprendista falegname dalle modeste pretese e lei più brava desiderava fare l’astronauta, come la nostra virtuosa e famosa Samantha Cristoforetti. Lui, che è un abile stratega che si disimpegna egregiamente nelle varie fasi rievocative e nei panni del corteggiatore, poi del marito, risponde al nome di Sabino Civilleri, che prima si veste da Babbo Natale e regala a lei un paio di scarpette rosse, che l’inducono a poco a poco ad abbandonare gli abiti ed il trucco da vecchia per mettere in evidenza la propria affascinante bellezza nel progressivo ringiovanimento e lo charme seduttivo. S’arriva così ad uno degli ultimi loro Capodanni con lo scandire dei minuti mancanti alla fatidica mezzanotte con un orologio da polso, quindi lui contento e perdutamente legato a lei fa esplodere un mortaretto, al cui suono onomatopeico si baciano caldamente e festosi lanciano in aria coriandoli e palloncini. Siamo magicamente agli impulsi giovanili e scolastici, come detto, lui la prende in braccio e sulla battigia le fa la desiderata dichiarazione di matrimonio in ginocchio per poterla baciare, successivamente lo splendido abito bianco, ripescato dall’armamentario conservativo del baule, ci ripropone come fulcro centrale d’una relazione d’intramontabile passione l’attimo del sì ufficiale vagheggiato dagli amanti ,anche se la vita spietata vuole che uno di due se ne vada da questo mondo prima dell’altro, come dice il diritto civile di famiglia”; “ vi dichiaro marito e moglie fino a che morte non vi separi” a meno che non si divorzi o vi sia un drammatico sinistro stradale od altro tragico evento. Il cerchio si chiude con lei che solleva sulle braccia lui, strano e quasi incredibile sorreggere un tal peso maschile, dopo aver ballato per l’ultima volta il loro gioioso connubio con l’anno nuovo e lo ripone nel baule, lei poi vinta dalla lancinante ferita psicologica subita non tarderà a calarvisi in ugual modo, segno simbolico che per un anziano è insopportabile perdere la persona cara e lo strazio del cuore ti porta, nella maggior parte delle circostanze, a condividere la stessa sorte in quanto certe ferite sanguinano metaforicamente sempre ed è arduo resistere con il miocardio a loro. L’Amore vero non fa sconti e dopo la privazione dell’altra metà si sente ancora di più, valorizzandola in pieno e più di prima, ciò ancora per esperienza direttamente vissuta. Con il lavoro “Il tango delle capinere” si chiude la rivisitazione approfondita ed assurta a tematica esistenziale di slancio vitale ed appassionato eros romantico inserita dalla Dante in “Ballarini” che chiudeva “La trilogia degli occhiali” con una vena nostalgica e meditativa sulla condizione interiore dei vecchi rimasti soli. La narratrice intende sottolineare che soltanto la consolazione, le foto e gli oggetti condivisi, possono aiutare a vincere la depressione e la solitudine quando l’altro non c’è più; ciò, rimanendo sul piano laicale, è, a nostro avviso, una pura utopia, ci può riuscire sul piano spirituale unicamente la Fede e ce ne vuole tanta per non lasciarsi prendere dalla disperazione allorché per casa od a tavola non c’è più l’altro che era una parte di noi, come Adamo e San Paolo insegnano, ”carne della propria carne”. Un atto unico che vi consigliamo d’andare a vedere per riconciliarvi con voi stessi e, nel caso, con la vostra metà finché c’è tempo; poi infatti i rimpianti ed i rimorsi non servirebbero a niente e finirebbero con l’angustiarvi e distruggervi. Lo spettacolo è dello Stabile di Roma in coproduzione con “Il Biondo “ di Palermo, l’Emilia Romagna Teatro, il Teatro Nazionale Carnezzeria e la regista Dante, dopo averlo scritto con arguzia, lo dirige perfettamente da par suo, paragonandolo al riscoprire nel suo innocente candore iniziale “una pura ed incontaminata alba che credevamo perduta” per riprendere i versi della poetessa meneghina Alda Merini. C’è tempo per apprezzarlo nel suo eccelso valore romantico fino al 14 maggio e non ve ne pentirete, la brevità lo fa gustare meglio nelle sue linee portanti con la mente sgombra da preoccupazioni per una piena e coinvolgente concentrazione.
Giancarlo Lungarini