I calchi degli scavi archeologici di Pompei, sono una delle scoperte più preziose che abbiamo per raccontare la storia dell’antica città.
I calchi, ossia i corpi delle vittime dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., sono una testimonianza drammatica degli ultimi istanti di vita degli abitanti dell’antica Pompei, che vennero investite da questa tragedia.
Nel corso degli scavi a Pompei, iniziati già nel XVIII secolo, sono stati rinvenuti i resti di oltre mille vittime dell’eruzione. Da questi sono stati ottenuti un centinaio di calchi. Durante la prima fase eruttiva gli abitanti che non si erano allontanati in tempo dalla città rimasero intrappolati negli ambienti invasi da pomici e lapilli o furono investititi dai crolli provocati dal materiale eruttivo.
Successivamente un flusso piroclastico, ad alta temperatura, investì Pompei a grande velocità, riempiendo gli spazi non ancora occupati da materiale piroclastico e provocando la morte istantanea per shock termico di chi era ancora in città.
I calchi sono stati una geniale intuizione di Giuseppe Fiorelli, che fu senza dubbio il più importante archeologo che operò a Pompei nell’ottocento. Ispettore ordinario negli Scavi di Pompei dal 1847 e in seguito direttore degli scavi dal 1860 al 1875, ebbe tra numerosi meriti, proprio quello dell’invenzione del metodo per eseguire i calchi delle vittime dell’eruzione.
I calchi sono stati ricavati grazie ad una miscela di acqua e gesso ideata da Giuseppe Fiorelli, sfruttando i vuoti lasciati dalla decomposizione dei corpi dopo che questi erano stati sepolti dagli strati di pomici e ceneri.
I calchi delle vittime, esposti in vetrine di metallo e vetro, erano già molto ammirati nel primo “Museo Pompeiano” che venne allestito da Giuseppe Fiorelli nel 1874. I numerosi calchi realizzati nel corso del novecento, sono invece generalmente lasciati a vista sul luogo del rinvenimento, in vetrine o protetti da tettoie, come si può ammirare nell’Orto dei Fuggiaschi, ove tredici corpi sono stati lasciati li, e da questi prende il nome questo luogo degli scavi archeologici di Pompei.
I calchi sono stati anche oggetto di ispirazione per poeti e artisti, tra i quali Primo Levi, con la poesia “La bambina di Pompei”, e Roberto Rossellini, che dedica alla scoperta di alcuni calchi una celebre scena dei “Viaggio in Italia”.
Purtroppo durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, molti calchi esposti vennero distrutti o subirono gravi danni, ma grazie al lavoro paziente di Maiuri e i suoi collaboratori, hanno consentito un recupero parziale di questi calchi.
Oggi alcuni calchi si possono ammirare nel nuovo Antiquarium che venne inaugurato nel 1948, che ricrea le emozioni e le suggestioni degli ultimi istanti di Pompei.
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